In momenti incerti come quello che stiamo vivendo abbiamo un’unica certezza: la spinta emozionale guida ogni strategia di comunicazione, oggi più che mai. Ecco come i brand e la comunicazione politica si stanno facendo spazio nel mondo dei social media puntando su quello che tutti conosciamo, la familiarità agli argomenti trattati. Una domanda ci sorge però spontanea: “Dopo cosa accadrà?”
Indice:
- Neuromarketing e Covid-19
- I (nuovi) primi passi dei brand
- La fluidità cognitiva della comunicazione politica
Neuromarketing e Covid-19
La prima definizione di neuromarketing risale al 2002, quando Ale Smidts, professore presso la Rotterdam School of Management, parlò di questa materia come de “l’insieme delle tecniche di identificazione dei meccanismi cerebrali orientate a una maggiore comprensione del comportamento del consumatore per l’elaborazione di più efficaci strategie di marketing”.
Esauriente, esaustivo, discreto nel descrivere quel processo che può facilmente far pensare all’antico pregiudizio per il quale “la pubblicità inganna e vende ciò che vuole”. In realtà si tratta dell’unione tra una disciplina a base economica e le neuroscienze cognitive e comportamentali dei consumatori. Ciò che governa questo binomio è l’aspetto emozionale, che gioca un ruolo fondamentale nel processo decisionale dell’uomo, per acquistare, leggere, commentare o mettere un like.
L’obiettivo del neuromarketing è quello di capire quali emozioni, sensazioni, valori vengano associati dai consumatori ad alcuni tipi di prodotti e cosa li spinga a compiere una delle azioni elencate sopra.
In questo momento storico che stiamo vivendo, siamo particolarmente sensibili a determinate tematiche, alla fruizione di alcuni prodotti e le nostre giornate trascorrono lentamente, interrotte dai bollettini dei contagi, da nuove challenge sui social e dalla preoccupazione.
Il virus è entrato a far parte delle nostre vite a 360° perché non ha coinvolto e stravolto solo la sanità del nostro paese e l’economia, ma anche il mondo della comunicazione e della pubblicità.
I (nuovi) primi passi dei brand
La maggior parte delle attività italiane, anche quelle che hanno visto un arresto della loro produzione o del loro schema lavorativo quotidiano hanno dovuto compiere una scelta, affrontare il virus ed integrarlo nella propria strategia di comunicazione oppure ignorarlo, guardarlo passare, senza mostrarsi direttamente coinvolte nella situazione.
Non è un caso che il nome del primo decreto governativo emanato l’11 marzo 2020 prenda nome dall’hashtag più utilizzato del momento sui social network, #iorestoacasa. Questo è diventato anche slogan di molti brand, che a volte lo hanno ripreso così nella sua forma originale, altre volte lo hanno coniugato attraverso i propri valori e la propria mission.
Lo psicologo israeliano Daniel Kahneman, insieme a Vernon Smith, nel 2002 è stato insignito del Premio Nobel per l’economia “per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza”.
Nei suoi scritti, Kahneman parla di fluidità cognitiva: partendo dal presupposto che la nostra mente si articoli in un dialogo tra due Sistemi, uno intuitivo e inconscio e l’altro conscio e razionale, quest’ultimo predilige sempre l’opzione che richiede il minimo sforzo, il minor dispendio di energia, per venire a capo di problemi complessi.
In sostanza, la fluidità cognitiva è la tendenza a prediligere attività e scelte che siano familiari per la nostra mente, di facile comprensione. La fluidità cognitiva genera nelle persone una sensazione di familiarità e positività e ha un ruolo importante nelle decisioni di tutti i giorni. L’empatia che spesso proviamo nei confronti di un prodotto, un articolo, un’immagine che possiede queste caratteristiche è dovuta proprio a questa gamma di valori che gli attribuiamo una volta che li vediamo davanti a noi.
Non è quindi sbagliato “cavalcare” l’onda del momento, per diffondere un messaggio positivo, in quanto può essere positivo per l’awareness del brand. Non a caso, anche numerosi spot televisivi sono stati riadattati alle esigenze di un pubblico più sensibile, che ha bisogno di sentirsi protetto e sostenuto in questo momento difficile. Numerosi brand stanno veicolando messaggi di speranza e positività senza snaturare i propri valori, ma anzi rafforzandoli.
Intraprendere azioni di questo tipo, soprattutto sui social network può esporre l’immagine di un brand a molta visibilità e può rafforzare il senso di community, inteso come “comunità”, dei propri follower, che poi è la vera macchina che ha messo in moto i social fin dalla loro origine. Infatti, non parliamo di brand che solitamente su queste piattaforme vivono nell’ombra, ma di soggetti che da tempo usano la comunicazione digitale come colonna portante della propria strategia di marketing.
Prendiamo Ikea, nello specifico Ikea Italia. Il grande colosso del mobile componibile fai da te nella sua veste tricolore, si avvale di una comunicazione vivace e coinvolgente, soprattutto sul suo canale Instagram @Ikeaitalia. Ikea decide infatti non di rimanere a casa ma di #Ripartire da questa: se per il brand la casa è normalmente una realtà “Fatta per cambiare”, come recita il suo payoff, in quest’ultimo periodo è diventata un porto sicuro, un luogo da riscoprire e da valorizzare non solo per i mobili e gli accessori che ci sono dentro, ma anche per le persone che la popolano con le loro storie.
Ma non solo, a livello pratico, Ikea utilizza le meccaniche di coinvolgimento offerte dalle Instagram Stories, quali sondaggi, domande e quiz, per tenere compagnia ai propri followers con attività anche complementari all’arredamento, come lezioni di yoga, letture e recensioni di libri o ancora lezioni di cucina, avvalendosi dell’aiuto di influencer e professionisti.
La fluidità cognitiva nella comunicazione politica
Anche il mondo della politica e dell’informazione sono entrati in questo meccanismo: la fluidità cognitiva e il coinvolgimento emozionale non sono argomenti nuovi per gli esperti di campagne elettorali e titoli di testate internazionali. Da quando però il Coronavirus è diventato il tema dominante dei servizi di informazione, alcune testate giornalistiche che presiedono i social network si sono fatte portatrici di messaggi fraintendibili.
Ha fatto scalpore infatti un filmato di qualche giorno fa, condiviso e chiacchierato sui social che inquadra il leader della Lega commentare la situazione sanitaria del paese. A generare polemiche e opinioni contrastanti è l’abbigliamento del politico: un maglione azzurro, la mascherina chirurgica calata e appoggiata sotto il mento e le cuffiette del cellulare a cingere il collo simili ad un fonendoscopio. Tutti noi ricordiamo le elezioni primarie del 2012 del Partito Democratico, durante le quali i due contendenti alla leadership del partito sono stati più di una volta immortalati in abiti inconsueti per il mondo politico: senza cravatta, con le maniche della camicia alzate fino ai gomiti. Un look più fresco, più amichevole, più vicino ai nuovi elettori e alle nuove generazioni. Tuttavia, in una situazione così delicata, l’habitus così assimilabile a quello del medico dipinto come eroe dai mass media, è risultato eccessivo, tanto da scatenare opinioni e battibecchi anche tra alcuni professionisti del mestiere.
Dunque, ogni settore della comunicazione, da quello commerciale a quello informativo sembra aver strizzato l’occhio ad una sfera emozionale che riesce a far presa sulla popolazione colpita da questa situazione grave, ma per fortuna in via di miglioramento. Tuttavia, la domanda logica da porsi potrebbe essere: cosa accadrà dopo?
Quando la quarantena sarà finita e potremo nuovamente uscire, dedicarci alle nostre passioni, agli hobby e riabbracciarci, cosa cambierà? La parola abbraccio, ad esempio, che senso avrà tra qualche tempo: quale carica emotiva o pressione le verrà conferita dopo un periodo così lungo? E insieme a questa, anche le parole casa, famiglia, Italia, ripresa, crisi, malattia. Oltre ad una nuova valenza emotiva e un nuovo significato, sarebbe interessante interrogarsi su quali potrebbero essere i risvolti, per il mondo della comunicazione, di questa parentesi storica.
Ancora non sappiamo se il Coronavirus diventerà un tabù, non sappiamo se quando anche l’ultimo italiano sarà guarito diventerà un giorno di festa, una nuova liberazione del paese. Sarà sicuramente interessante osservare, proprio attraverso le tecniche del neuromarketing, cosa comporterà la vista di una mascherina chirurgica, delle figure dei medici e di tanti altri soggetti divenuti temporaneamente comuni. Verremo coinvolti in una nuova onda mediatica oppure ci rifiuteremo di cavalcarla perché stufi di questi stimoli, seppur ormai familiari?