Facebook gode di ottima salute: ecco come sta il popolare social media dopo lo scandalo di Cambridge Analytica. Ma cos’è successo? E perché i brand possono stare tranquilli?
Cos’è Cambrige Analytica e cosa c’entra con Facebook?
Fondata nel 2013, Cambridge Analytica è una società di consulenza politica che combina data mining e analisi web e social media. Negli ultimi mesi il New York Times, l’Observer e il Guardian hanno condotto un’indagine congiunta che ha evidenziato una grave svista nel sistema. Facebook sarebbe colpevole di aver lasciato raccogliere a Cambridge Analytica i dati personali di circa 87 milioni di utenti.
Le accuse dei giornali sono pesanti: grazie a queste informazioni pare che sia stato possibile creare un software in grado di prevedere e influenzare le scelte all’urna. No, non è una puntata di Black Mirror e lo scandalo ha fatto il giro del mondo in brevissimo tempo. Tanto da far perdere punti in Borsa a Facebook, creare la “psicosi da privacy” e costringere Mark Zuckerberg a presentarsi davanti ai senatori americani. Ma alla fine i dati parlano chiaro: Facebook non ha nulla da temere. Per il momento.
Lo scandalo di Cambridge Analytica
La violazione della privacy di 87 milioni di utenti è di per sè una falla terribile per Facebook, che da sempre promette di mantenere le informazioni al sicuro. Ma non è tanto questo che ha fatto crescere lo scandalo di Cambridge Analytica. Il problema è che tali dati sarebbero stati usati per influenzare la democrazia degli ultimi anni. Si parla della campagna elettorale di Donald Trump, delle elezioni francesi, fino ad arrivare alla Brexit. Ma è bene sottolineare un aspetto: Cambridge Analytica non ha manipolato la politica globale. L’accusa è quella infatti di aver sfruttato dati senza consenso dei legittimi proprietari. E Facebook è nell’occhio del ciclone per aver permesso di farlo.
Convincere qualcuno a votare un partito non è molto diverso da convincerlo a comprare una certa marca di dentrificio.
Questo il mantra dei dirigenti di CA. In fin dei conti oggi la politica assume sempre più i contorni dei brand e utilizza la pubblicità come arma. Un tempo si faceva propaganda, ma oggi la chiamiamo strategia di comunicazione crossmediale. Il punto è che le informazioni sono preziose e permettono di creare messaggi efficaci, in grado di intercettare il pubblico giusto al momento giusto. Mettiamo il caso che io sappia quando torni a casa la sera, quali sono i tuoi gusti e che persone frequenti. Per me diventerebbe quindi molto semplice farti trovare un messaggio accattivante su qualcosa che potenzialmente ti interessa. Ecco, questo è solo un esempio banale su quanto successo. Attraverso il data breach, CA ha catalogato milioni di informazioni, utilizzandole a suo vantaggio nelle consulenze.
Abbiamo sfruttato Facebook per raccogliere milioni di profili di persone. E costruire modelli per sfruttare ciò che sapevamo su di loro e bersagliare i loro demoni interiori. Questa è stata la base su cui è stata costruita l’intera azienda.
Queste le parole di Christopher Wylie, il giovane informatico che ha rivelato al Guardian tutti i particolari. Un pentimento che si è trasformato prima in dimissioni e poi in racconto ai giornali. Il sistema sviluppato è stato denominato “microtargeting comportamentale”, ossia pubblicità altamente definita e personalizzata. Erano i primi di marzo 2018 e il 21 Mark Zuckerberg ha ammesso il buco di informazioni di Facebook.
Facebook non è morto, anzi…
Il giorno successivo al mea culpa, un terremoto si è abbattuto su Facebook. Giornali di mezzo mondo ne parlano. Utenti che si disiscrivono terrorizzati. Le azioni che crollano di quasi 8 punti percentuali in Borsa. Mi sono visto per un attimo la beatitudine di molti pseudo-esperti di marketing, gli stessi che da dieci anni dicono che i social sono una bolla. E che i blog sono morti da vent’anni.
A distanza di un mese la terra ha smesso di tremare. E non sono macerie quelle che si sta scrollando Facebook di dosso, bensì briciole. Mark Zuckerberg è finito davanti a senatori e deputati americani e se l’è cavata alla grande, nonostante la sua proverbiale difficoltà a parlare in pubblico. Subito dopo l’apparizione Facebook ha chiuso in rialzo a Wall Street con un +4,50%. Ed è nuovamente in crescita. Le critiche più aspre a Facebook riguardavano appunto l’accesso a quelle informazioni sensibili che la piattaforma ha sempre dichiarato di proteggere. Il mea culpa del CEO e la sua promessa di una trasparenza più vicina agli interessi dei suoi utenti hanno permesso a Facebook di superare (quasi) indenne questa crisi. Dopo lo scandalo di Cambridge Analytica
Gli iscritti non sono diminuiti e le interazioni su Facebook non sono diminuite
ha detto Mark Zuckerberg, ribadendo a più riprese che “i dati che si condividono sono sempre di proprietà degli utenti, che in ogni momento possono decidere se cancellarli”.
Ora Facebook premia (e paga) gli utenti che segnalano le violazioni
A distanza di poco tempo dallo scandalo di Cambridge Analytica Facebook ha introdotto anche il Data Abuse Bounty Program. La notizia recita: “Sappiamo quanto sia importante che i tuoi dati siano al sicuro e stiamo semplificando il modo in cui puoi decidere con quali app condividere le tue informazioni. Puoi accedere alla sezione App e siti web delle tue impostazioni in qualsiasi momento, per vedere a quali app e siti web hai effettuato l’accesso tramite Facebook. Puoi anche rimuovere quelli che non vuoi più che siano connessi a Facebook”.
Il programma passa attraverso sei fasi:
- Identificazione: un utente identifica un’app malevola della piattaforma che raccoglie dati e un’altra parte che ne abusa.
- Invio: l’utente segnala un potenziale problema tramite il modulo.
- Controllo: Facebook controlla la segnalazione.
- Analisi: se attendibile, ci sarà un’analisi più approfondita.
- Esecuzione: Facebook sceglierà il provvedimento appropriato da adottare (eliminazione dell’app, l’avvio di azioni legali, ecc…).
- Premio: Faeebook premierà l’utente in dollari.
La piattaforma segnala che gli utenti che segnalano casi reali possono ottenere un premio di almeno 500 dollari. “Maggiore è l’impatto e/o il numero degli utenti coinvolti, maggiore è il premio”.
Tutti i numeri di Facebook (aprile 2018)
Questi sono alcuni dei dati pubblici reperibili tra newsroom.fb.com, gli insight e facebook.com/iq. Insomma, considerando che gli stessi WhatsApp e Instagram sono di proprietà di Facebook, la piattaforma è ancora al primo posto tra i social media. E gli investitori lo sanno, così come gli specialisti. Blogmeter conferma il trend soprattutto in Italia: Facebook confermato come principale social media nella nazione.