“Vorrei un video virale che mi faccia vendere in tutto il mondo”. Ma non esistono bacchette magiche. Serve studio, applicazione, giusti professionisti, creatività e fortuna. E forse neanche tutto questo.
“Vorrei un video virale che mi faccia vendere in tutto il mondo”. Certo, come no. Capita spesso che davanti a un bello spot o video molte persone sorridano pensando a quanto sia stato geniale e che in fondo… be’, cosa ci vorrà mai per creare un contenuto virale? La verità è che dietro a simili contenuti si annidano diverse complessità. Dallo studio alla creatività, fino all’inquadramento dei giusti professionisti, alle tendenze e alla fortuna.
Ecco cosa c’è da sapere su come creare un video virale. O come non si può fare.
Il grande equivoco del “Semplice da fruire, semplice da fare”
Ci sono giornate che inevitabilmente cambiano, in modo sostanziale, la vita di chi si occupa di creatività. In una giornata del 2006 ad esempio uscivano i mini spot Mac vs Pc creati per Apple da TBWA Media Arts Lab. Al tempo mi occupavo di fotografia e non capii i cambiamenti che quel giorno avrebbe comportato sul futuro mio e di molti colleghi che si occupano di video-making e video virali.
Il grande equivoco del “semplice da fruire dunque semplice da fare” è a tutt’oggi la difficile eredità lasciataci da quella rivoluzione silenziosa.
Non è infatti raro ai giorni nostri che ci si senta chiedere da un cliente “uno spot semplice, nella forma e nel concetto… qualcosa come Mac vs Pc”. Ho diversi amici/colleghi che più volte hanno riportato il dramma lavorativo nel trovarsi di fronte a questa richiesta. Mac vs Pc non è semplice né nella forma né nel contenuto.
Le complessità del video virale
Come è semplice immaginare, uno spot creato da/per Apple richiede uno studio attento e accurato; creativi che lavorano per mesi cercando di trovare la giusta chiave e l’idea che possa essere d’impatto rimanendo però all’interno delle guidelines aziendali.
Il prodotto finito, il video che tutti conosciamo, può poi risultare estremamente semplice al fruitore finale, il tipico progetto che guardandolo ci fa dire “avrei potuto pensarci io!”. Be’, non è così che stanno le cose.
Anche dal punto di vista realizzativo la forma apparentemente semplice dello spot ha messo in crisi diversi direttori della fotografia che, trovandosi ad avere a che fare con progetti con budget risicati non avevano letteralmente i mezzi per emulare un setting luci simile. Per non parlare poi della scelta degli abiti dei due protagonisti, del loro look in generale, di quello che dicono e di come lo dicono… Oltre a tutto ciò bisogna considerare che è stato uno spot che ha avuto il coraggio di osare. Si tratta infatti di una pubblicità comparativa che seppure nel complesso fa ridere, colpisce in modo duro e dichiarato la concorrenza prendendo una posizione piuttosto decisa e afferma Mac meglio del Pc.
La formula per un video virale? Nulla al caso… o forse qualcosa
Facendo un salto temporale di diversi anni un esempio simile possiamo trovarlo nello spot Volvo.
Uscito nel 2013, vede l’eroe cinematografico Jean Claude Vann Damme fare la sua famosa spaccata sorretto dagli specchietti retrovisori di due camion che viaggiano in retro marcia.
Lo spot registra attualmente 88.929.206 visualizzazioni di cui 50 milioni realizzate nelle sole prime due settimane dal lancio.
Anche questo spot, come il precedente, ha prodotto strascichi potenti in molte delle figure che si trovano a lavorare nella comunicazione e produzione video. Va da sé che, visto l’enorme successo riscosso, abbia smosso in molte aziende un sano spirito emulativo.
Molte volte ci è stato chiesto di realizzare video virali accomodati in lussuose sale riunioni di grandi aziende. E quindi ci si ritrova in sale riunioni di grandi aziende in attesa. Ecco che viene acceso un proiettore e parte il suddetto video Volvo. Ogni volta il mio sistema simpatico segue lo stesso percorso:
- un momento di forte eccitazione;
- il pensiero “ci siamo, ci siamo, facciamo il video della vita”;
- altrettanto forte momento depressivo.
Infatti con buona probabilità le persone che si hanno di fronte stanno sottovalutando le difficoltà, il tempo necessario e soprattutto il conseguente budget necessario, senza contare gli studi e le conoscenze necessari a realizzare un prodotto simile.
A tutto questo va aggiunto un piano strategico di diffusione che possa attivare meccanismi di sharing e garantire il massimo di visibilità.
Se poi ci aggiungiamo un pizzico di fortuna, non guasterebbe.
Già, perché se da una parte si può studiare un progetto che porti a tantissime visualizzazioni, dall’altra non si può decidere a tavolino che un video diventi virale.
Parola chiave per un video virale: osare
Il grosso scoglio che ci troviamo ad affrontare ogni volta è, innanzi tutto cercare di convincere il cliente ad osare, rischiare un pochino.
É molto difficile costruire i contenuti di un video che ha la pretesa di diventare virale se non si abbandonano gli schemi che un’azienda è solita usare nei propri video più “convenzionali”.
Cosa non impossibile, chiaramente, avendo a disposizione tanto tempo e tanto budget così da poter coinvolgere le figure professionali richieste… ma normalmente ci si trova a corto sia dell’uno sia dell’altro.
Quindi quello che di solito proponiamo è qualcosa che giochi con il marchio o prodotto, con la sua storia o con il concetto che si vuole comunicare. Ma a volte bisogna sfruttare il pensiero laterale.
“Ma il prodotto non c’è! Dov’è il prodotto?”
La maggior parte delle volte il prodotto non è nemmeno visibile all’interno dello spot se non nella parte finale (in cui viene “svelato”) o addirittura solo nel cartello di chiusura. Ne è un esempio lo spot che fece Le Trefle (carta igienica) che con uno spot molto carino da più di 12 milioni di visualizzazioni.
Per tutto lo spot non vediamo il prodotto e anche sull’ultima inquadratura quello che “vediamo” è la mancanza del prodotto. Il cartello finale poi con il giusto copy chiude il cerchio e dà il senso allo spot.
Ma nella quasi totalità dei casi, quello che ci si sente dire dal cliente è “E il prodotto?! Dov’è il prodotto? Si deve vedere il prodotto!”.
Non è facile immaginare uno spot in cui per 30 secondi si veda della carta igienica che possa fare venire voglia di essere condiviso da milioni di utenti.
L’effetto “sorpresa/svelamento” è infatti uno dei meccanismi essenziali di cui un video virale deve servirsi senza il quale si rischia di perdere l’utente dopo pochi secondi e ci si gioca, chiaramente, anche la condivisione.
E il prodotto? E il prodotto non si vede, o quanto meno viene apparentemente messo in secondo piano rispetto a ciò che il video racconta.
Bisogna considerare che chi decide di condividere il contenuto di un video virale si espone in prima persona facendolo: condivide un contenuto che per un qualche motivo sente vicino e che gli suscita emozioni (dalla risata, al romanticismo, all’esaltazione) ma facendo questo ci mette la faccia.
La “viralità” è un braccio di ferro tra creatività, buon senso e realismo
Non è quindi da prendere con leggerezza la creazione di contenuti con presunzione di viralità. Da un lato c’è ed forte l’esigenza di rimanere all’interno di un selciato il più possibile politicamente corretto e che affianchi le linee guida e i “valori” aziendali, dall’altro la necessità di creare un prodotto che stupisca e susciti emozioni forti.
Nel mezzo ci siamo noi in un eterno immaginario braccio di ferro fra creatività, buon senso e realismo.