Sono le 10:30 di un lunedì mattina ed Emily è in pausa tattica da tre ore. Sono le 10:30 di un lunedì mattina e alla quinta richiesta di rework mi chiedo perché non ho deciso di dedicarmi alle competizioni professionistiche di lavoro a maglia.
Uncinetto a parte, guardare una puntata di Emily in Paris per un Social Media Manager equivale a una sorta di esperienza mistica al limite delle apparizioni della Madonna o all’invenzione di un panettone realmente senza grassi. Expectations vs reality level 1000.
Al nonsense Darren Star ci aveva abituato bene in Sex and the City, quando la scrittrice di una colonna settimanale poteva permettersi numerose paia di scarpe di Jimmy Choo e un appartamento a Manhattan. Prontooo? Agenzia delle entrate?
Emily in Paris raggiunge vette di totale insensatezza mai viste prima: dal redivivo sogno immobiliare ai cliché sui francesi, che sembrano essere più poligami dei membri di setta d’ispirazione mormona. Ma soprattutto per la descrizione da rivista di gossip della vita di un Social Media Manager (spoiler: fare il social media manager è un lavoro vero).
Ecco, quindi, un best of (o worst of) dello show:
#1 I sogni son desideri
Emily non scrive piani editoriali, lei è i piani editoriali. Ha un superpotere tale da essere candidata al ruolo principale nel prossimo film degli Avengers: con una sola occhiata il cliente approva budget, copy, visual e rework.
Nessuna contrattazione, presentazioni di 150 slide e brainstorming di 16 ore. Emily espone la sua idea geniale, fa un sorrisone ed è tutto sistemato. Mettere dei materassi in giro per Parigi? Come no! Senza alcuna autorizzazione? Come no! Senza definire alcun tipo di KPI? Come no!
Evidentemente noi comuni mortali che creiamo strategie, definiamo obiettivi e analizziamo target stiamo proprio sbagliando ogni cosa.
#2 Ti pago in visibilità
Nella seconda stagione dello show vediamo Emily cambiare improvvisamente lavoro e diventare un’organizzatrice di eventi/PR manager. Ah no? Come non detto, un altro buco di trama.
Tralasciando l’evidente confusione fra figure professionali completamente diverse, Emily sembra ignorare un concetto di una banalità disarmante: il tempo è denaro. Così ricorre al trucco più vecchio del mondo: ti pago in visibilità.
Ingaggia l’amica Mindy e la sua band per un party di Chopard, non proprio lo shop su Etsy di mia zia Pina, promettendole un ritorno in gloria e fama. Ovviamente tutto questo senza alcuna approvazione e senza alcuna richiesta di chiarificazioni da parte dell’azienda.
A questo punto perché non chiamare Marilyn Manson alle inaugurazioni dei negozi della Pampers?
#3 Influencer presso me stesso
Per una persona che dovrebbe aver avuto un breve exploit come influencer, la conoscenza di Emily in materia pare abbastanza limitata. I suoi copy sono scialbi e appena usciti da un post Tumblr, i giochi di parole già visti e anche abbastanza cringe.
Nonostante tutto, la nostra eroina viene invitata a un evento per rappresentare la categoria. Evento dove pensa bene di creare contenuti prendendo in giro le altre influencer e facendo uno spuntino con le decorazioni a parete. Groundbreaking. Tristemente (o forse no) l’account di Emily in Paris viene eliminato ma l’incapacità di Emily no.
E questo diviene evidente quando decide di far posare l’acerrimo nemico di Pierre Cadeau sopra una valigia creando un piccolo, minuscolo incidente di immagine. Una situazione che nella vita vera avrebbe creato a Emily qualche problemino più serio, quel tipo di problemini che non ti fanno arrivare a fine mese.
Quindi ragazzi, mi raccomando, la prossima volta non scomodatevi a preparare un brief per gli influencer o a selezionarli in base al brand o agli obiettivi. Capito bambini?
#4 Professionalità questa sconosciuta
Il nostro amico Darren Star sembra ostinatamente voler descrivere le dinamiche di rapporto coi clienti negli stessi termini di un film dei fratelli Vanzina (o un cinepanettone con ambientazione francofona). La linea di demarcazione tra vita professionale e vita personale sembra così labile da essere tracciata con le penne cancellabili che si usavano alle medie.
E non parliamo solo dei flirt di Sylvie e delle sue trasgressioni all’etica professionale, che includono prezzi di favore e ingaggi ingiustificati a fotografi dilettanti, ma anche della stessa Emily. Descritta all’inizio come assolutamente estranea a queste dinamiche, si converte presto a quello che sembra essere un modo di fare socialmente passabile. Accetta, ad esempio, l’invito di un cliente per una vacanza in Costa Azzurra e ne perseguita un altro fino a placcarlo per un contratto letteralmente dentro uno strip club.
Suggerirei a tutti i personaggi della serie, non dico la lettura integrale di un manuale di Bon Ton, ma almeno della regolamentazione anti molestie.
#5 Hai una notifica: fai gli auguri a Emily per il suo compleanno
Ma veniamo adesso alla chicca finale, alla ciliegina sulla torta di questo viaggio. Quello che in inglese si chiama work life balance è completamente falsato. In altre parole: Emily non lavora mai. MAI.
Oltre a rifiutarsi di lavorare il giorno del suo compleanno, la vediamo vagare 3/4 del tempo per le strade di Parigi in completi di Chanel che costano come una macchina sportiva o qualche rata di mutuo.
E forse è questo il senso dello show: deve essere trash, scritto male e sopra le righe.
Un po’ come facevano Carrie e le sue amiche, ci regala qualcosa di divertente di cui parlare quando il rework delle 17:55 incombe sopra di noi (per reference di altre gioie ne abbiamo parlato a suon di panettoni qui).